L’hanno chiamato Autographer ed è un aggeggino che si può portare al collo, alla cintura o su un cappello.
Un gingillo di 58 grammi, ma, anzitutto, una fotocamera in grado di realizzare circa 200 immagini al giorno, decidendo in autonomia quando scattare.
Ne parla acutamente Giovanni Fiorentino nel suo libro Il flâneur e lo spettatore – La fotografia dallo stereoscopio all’immagine digitale (Franco Angeli, 2014), descrivendone le caratteristiche tecniche e le funzioni: «L’apparecchio scatta indipendentemente dall’indossatore grazie a una serie di sensori e a un GPS integrato che lo fanno reagire a una varietà di stimoli esterni. In particolare il movimento, i cambiamenti nella luce e nella temperatura, la prossimità di oggetti e persone».
Lo ammetto, quando ho letto di Autographer, l’ho subito desiderato. Per ragioni diverse: la prima – evidentemente – è stata quella di poter togliere di mezzo la mia volontà e demandare la realizzazione di una fotografia a una sensorialità diversa, ormai “arrugginita” o sovente controllata. La seconda, sempre inscritta nella sfera dei sensi e della corporeità, quella di poter affidare a regioni fisiche differenti dagli occhi il compito di catalizzare gli stimoli esterni.
Perché nel posizionare il” fotomonile”, saremmo comunque noi a decidere quale parte anatomica far interagire con il mondo.
Cosa registrerebbero il mio petto, i miei fianchi o la caviglia durante l’arco di un’intera giornata? Non conosco certo la risposta, ma la domanda mi affascina e pure molto. Allora continuo a interrogarmi e mi chiedo: avere questo tipo di ambizione, non è infondo un ulteriore e supremo atto di narcisismo? Un atto che coniuga l’inconscio tecnologico direttamente e in maniera fatale e perturbante con il nostro inconscio.
A ben vedere, il termine Autographer, si accorda con l’autografo chiesto alla star di turno, un segno su carta bianca che ha un valore profondamente feticistico.
Il ciondolo resta ancora nella lista dei miei desideri. Devo solo capire se davvero me la sento di inciampare in un altro stagno, sedotta da ciò che di inedito potrebbero restituirmi alcune zone inesplorate di me stessa.