Da sempre, trascorro l’ultimo giorno delle mie vacanze estive a Loano, sulla Riviera Ligure di Ponente, concedendomi una chiacchierata davanti al mare con il mio amico Lino, classe 1936. Lino Ebe, insieme con moglie, figli e nipoti, gestisce i bagni “Marina Piccola”, stabilimento che frequento da quando ero in fasce.
Quest’anno, del tutto casualmente, la nostra conversazione ci conduce verso la fotografia.
Dopo qualche minuto di chiacchierata, Lino si lascia andare ai ricordi e il suo racconto prende la forma di una piccola e personalissima storia della fotografia loanese, fatta di cognomi, approssimazioni e affetti. Lo fermo, gli chiedo di ricominciare e di poterlo registrare.
Riporto il contenuto dell’intera registrazione, senza tagli o rimaneggiamenti: un flusso di ricordi che non ha avuto bisogno di esser sollecitato o inframmezzato da domande. Forse un giorno lavorerò su questa testimonianza, per darle una struttura più rigorosa. Ma per il momento voglio condividerla nella sua versione originale.
Un po’ romanticamente, decido di pubblicarla solo ora, ad autunno inoltrato, in una stagione differente da quella in cui è stata raccolta. Poiché differente, rispetto ai giorni nostri, è anche la stagione fotografica a cui essa fa riferimento.
Il primo fotografo di cui mi ricordo si chiamava Piccioni. Piccioni era un fotografo corpulento, sembrava burbero, ma faceva delle fotografie artistiche. Fece un bellissimo ritratto alla mia mamma. Ce l’ho ancora…Aveva il negozio nel carruggio di Loano, dove adesso c’è una macelleria. Ero piccolo però, me lo ricordo solo vagamente.
Dopo venne Deppi. Lui era un tipico “mascheratore”, ti metteva il papillon per farti sembrare più grande. Quando avevamo 16 anni, io e un amico – “Deprofundis”, qui lo chiamiamo così perché è titolare di una ditta di pompe funebri – andammo a farci fare delle fotografie per poter dimostrare che eravamo maggiorenni. Ci fece indossare uno dei suoi cravattini, sembravamo ingessati, ci vergognavamo perché la gente da fuori poteva vederci. Ma lui era un estroso. Ti metteva lì e ti teneva anche un’ora: «Girati così, spostati di là…». Non andammo mai a ritirare le stampe. Quando passavamo davanti al suo studio, lui ci correva dietro e urlava: «Ohi, le vostre foto sono pronte!», ma noi scappavamo. Ha lavorato fino all’inizio degli anni sessanta, ci sono ancora tante sue fotografie in giro, si trovano anche sui libri della “vecchia Loano”.
Poi, dal Piemonte, da Ormea per esser precisi, arrivò Goso, che era sordomuto. Goso aveva ottenuto in concessione dal Comune la vecchia fermata dei pullman: un bugigattolo che lui seppe trasformare in un piccolo studio. Era un bell’uomo, alto più di un metro e ottanta e riscuoteva grande successo con le donne, soprattutto con le villeggianti che trascorrevano le vacanze senza marito. Aveva imparato a farsi capire bisbigliando ed era considerato più affidabile degli altri perché non sentiva e non poteva riferire. Così credevano, invece lui comprendeva e ricordava tutto. Si è esercitato tutta la vita per farsi capire. E ci è riuscito.
Questi sono i personaggi legati alla mia gioventù.
I ricordi successivi riguardano un fotografo, mio coetaneo, di cui divenni molto amico. Si chiamava Arena. Entrò in società con Goso, dopo esser stato “a bottega” nel suo bugigattolo, ma con lui cambiò tutto: fu il primo a non lavorare in studio e a scendere in spiaggia, ad andare incontro alla gente. Era un gran camminatore: percorreva per intero la spiaggia di Loano – lunga circa due chilometri – almeno cinque volte al giorno, sotto il sole.
Arena era forte nelle foto ricordo ai bambini. I primi tempi li faceva posare in piedi, sorridenti, mentre tenevano stretto il salvagente intorno alla vita o sedevano su un cavallino di legno che si portava appresso. Poi, un giorno, lo vedemmo arrivare con una tigre viva. Fu una sorpresa per tutti. Ogni anno lo zoo di Genova gli affidava un cucciolo e gli permetteva di tenerlo fino a quando non diventava pericoloso. Lo metteva tra le braccia dei bambini. Poi, non appena gli artigli diventavano affilati, lo riportava indietro.
Quando non fu più possibile usare gli animali per fare le foto, Arena sostituì il tigrotto vero con una tigre di pezza, un grosso peluche. Non era la stessa cosa, ma piaceva ugualmente perché era grande.
Arena era molto comunicativo, ti faceva subito entrare in confidenza. La sua attività non si limitava alla spiaggia. Faceva tanti matrimoni, lo chiamavano anche dalle città più grandi, da Savona per esempio, e faceva “tutto quello che è la fotografia”: sviluppava i rullini e stampava. Tentò anche di mettersi in grande e produrre delle cartoline, ma i tempi stavano già cambiando e fu la fine.
Era molto paziente, aveva un bel modo di fare. Gli altri ti tenevano delle ore, lui era sbrigativo e ti impostava subito l’immagine, ce l’aveva in testa. Tu lo capivi e ti fidavi, lasciavi fare: “ti portava via” e non te ne accorgevi. Non lo dico perché eravamo amici, ma Arena “interpretava” la fotografia.
Fece scuola a tutta Loano. Un suo garzone, di cui non ricordo il nome, aprì un altro studio. Non era in centro, ma le cose andavano bene lo stesso proprio perché il ragazzo aveva imparato a scendere in spiaggia e a comportarsi bene con i bagnanti.
L’ultimo di quella generazione fu Vivino, che è purtroppo è mancato da poco. Era più riservato, ma è durato tanto. Anzi, Il suo negozio c’è ancora. I parenti hanno continuato l’attività, ma l’hanno rimodernata, perché gli studi come erano impostati una volta sono superati.
Dagli anni sessanta agli anni novanta, era una fortuna fare il fotografo. Era un’epoca d’oro. È che allora arrivavano tanti stranieri. C’erano le spiagge, le sale da ballo, i concertini sulla passeggiata. Otto concertini a sera. Qui veniva sempre Fausto Leali, era un ragazzino, ma gli si gonfiavano già le vene del collo quando cantava. I turisti volevano un ricordo, le tedesche soprattutto e allora, al momento buono, spuntava il fotografo. Gli amori cominciavano con una fotografia e – a volte – finivano con un matrimonio…
Ecco: era così. Io di più non saprei dirti.
Metti tutti i nomi, mi raccomando. Non dimenticare nessuno.